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Fare l’avvocato è solo un lavoro?
Se siete finiti sul blog di Impresavvocato forse anche voi pensate che lo studio legale è (anche) un’azienda, che deve fare profitti, e che l’attività dell’avvocato non consista solo nell’erogazione di una prestazione (un lavoro appunto).
In realtà da sempre al ruolo dell’avvocato viene attribuita anche (anzi soprattutto) una funzione “sociale”: la difesa dei diritti dell’individuo, la tutela degli interessi del cittadino etc. Ma ciò non vuol dire che tale funzione sia in contrasto col fatto di ottenere un beneficio economico: ovvero fare affari.
Only business
Nella mia mente la frase “only business” (solo affari) viene declamata dalla voce di Ennio Balbo, doppiatore di Peter “Fat Pete” Clemenza de “Il Padrino”.
Questa frase suggerisce la separazione tra emozioni ed affari, ovvero la distinzione tra lo scopo (funzione) personale e sociale dell’attività professionale ed il risultato: soddisfare il bisogno del cliente dietro pagamento di un compenso.
Per molto tempo, ed in molti ambiti è così ancora oggi, si è ritenuto che il lavoro fosse un mondo nel quale dovessero essere escluse le emozioni o che, nel caso degli avvocati, il profitto non potesse “inquinare” il valore sociale del servizio reso.
Le decisioni di maggiore interesse avrebbero dovuto essere mantenute pure dalle emozioni; con evoluzioni di questo pensiero che hanno condotto all’errata idea secondo cui le donne, che avrebbero un mondo emotivo più variegato di quelle dell’uomo, non sarebbero in grado di essere al vertice
Nulla di più sbagliato.
Il Business è qualcosa di molto personale
Gli studi degli ultimi anni hanno dimostrato l’erroneità del presupposto e delle conseguenze di pensiero.
Le aziende, ma anche gli studi professionali (e non solo loro), si sono rese conto che ognuno di noi si muove ed agisce portando con sé il proprio bagaglio emozionale. Un corredo emotivo da considerare per comprendere cosa sta accadendo in un’organizzazione e da tenere in considerazione nelle scelte aziendali/professionali.
Attenzione!!
Non vuol dire che le scelte professionali devono dipendere dalle emozioni, vuole dire che tali scelte devono tenere in considerazione il momento emozionale per scegliere cosa fare e come procedere.
Del resto la mole di dati e studi degli ultimi anni, compresa quella del periodo Covid, che ha avuto un impatto emotivo enorme su tutti noi, ha dimostrato che vivere emozioni “positive” per un tempo superiore di quelle “negative” (non credo nella la distinzione tra emozioni positive e negative, la uso in questo contesto, solo per semplicità espositiva) ha un effetto positivo sulla salute mentale e fisica, sulla produttività, sul coinvolgimento nel lavoro, sulla gestione dello stress ecc…
Una nuova cultura professionale
La cultura cognitiva in ambito professionale è importante e non sufficiente per migliorare la qualità e continuità di risultati. Per raggiungere quel genere di risultati è necessario ampliare la visione e sviluppare anche una “cultura emotiva”.
Per cultura emotiva si intende la condivisione di valori affettivi, norme, processi e scenari che stabiliscano quali sono le emozioni che hanno ampio spazio di espressione nella professione e quali è preferibile non esprimere.
Ancora una volta non vuol dire evitare di provarle, vuol dire che quelle emozioni meno utili nel contesto vanno gestite.
Un problema rilevato è che le due culture vengono comunicate in modo differente all’interno delle organizzazioni:
Entrambe dovrebbero trovare ampio spazio nelle aziende, anche in ottica di gestione delle stesse per migliorare il clima emotivo all’interno dell’organizzazione e quindi il coinvolgimento dei collaboratori, con un evidente effetto sulla produttività aziendale
Qui entra in gioco l’intelligenza emotiva.
Come l’intelligenza emotiva aiuta la nostra vita professionale
Le persone dotate di un buon livello di intelligenza emotiva presentano caratteristiche positive e rilevanti per sé e per l’organizzazione/studio professionale.
Per esempio:
E molto altro
Gli effetti dell’Intelligenza emotiva su questi aspetti può essere diretta come indiretta
Per esempio un buon Q.I.E. permette di migliorare la soddisfazione lavorativa perché rende più facile gestire la frequenza e l’intensità di emozioni “negative” e “positive” provate nella giornata lavorativa; questo stimola la produttività ed il rendimento che, da un lato, alimenterà la soddisfazione personale e, dall’altro, potrà ottenere scatti di carriera, bonus o aumenti di stipendio in un circolo virtuoso continuo e costante.
Perché è importante? Perché, tra le altre cose, ci consente di “coniugare” le nostre scelte professionali con le nostre “emozioni” e perché ci aiuta a rendere più gratificante il nostro lavoro.
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Iacopo Savi
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